Povertà non elemosina

Speciale Giornata mondiale dei Poveri 2024

Nella tradizione biblica Dio si rivela come colui che ama tutti a partire da quelli che hanno più bisogno. Amare, per Dio, significa entrare in relazione e condividere la vita. Dio dunque condivide la sua vita con tutti gli uomini perché tutti sono poveri. Anche se in modi diversi. La povertà è una condizione di tutti e di tutta la creazione, nel senso che la vita, in ogni suo aspetto, dipende dalla relazione con Dio. Ma non solo. In Gesù – e già a partire dalla tradizione giudaica – scopriamo che persino Dio è povero e si fa povero, nel senso che la vita non la tiene per sé ma la vive radicalmente con gli altri che sono gli uomini in una vivente creazione. Dio non è un padrone ricco che elargisce la ricchezza ai suoi sudditi, ma un padre che partecipa la propria vita – vita che è Amore – a tutti. La ricchezza di Dio consiste in questa capacità di offrire sé stesso.
La conseguenza di questa partecipazione è la capacità data all’uomo di sperimentare e donare la vita di Dio, l’Amore. L’uomo partecipa della ricchezza di Dio offrendosi, condividendo non solo ciò che ha ma soprattutto ciò che è. La Giustizia del Regno si fonda nell’azione abilitante di Dio sull’uomo e nella risposta di questo con una azione proporzionalmente simile verso il prossimo a partire dal più bisognoso.
Scopriamo allora, sempre a partire dalla testimonianza biblica e dall’azione dello Spirito del Risorto nella vita degli uomini, che Dio non si fa povero per aiutare i poveri a diventare ricchi, in modo da realizzare un paradiso di ricchezze per tutti. Ma si fa povero, nel senso che non trattiene niente per sé, fino a condividere la sua vita personale facendosi uomo in Gesù.
Tutto ciò che contraddistingue Dio, ovvero giustizia, libertà, verità, amore – e che in un termine solo identifichiamo con i termini Vita (di Dio) o Regno (dei Cieli) – è quindi partecipato agli uomini. Ed è della relazione con essi che Egli vive; e per converso è della relazione con Dio e con i fratelli che vive l’uomo. In questo senso la povertà o mancanza di vita autosufficiente che caratterizza la creazione e l’umanità, diventa possibilità di ricchezza se mantenuta nella relazione con Dio. E Dio ha promesso di mantenere la relazione con noi, nonostante le nostre infedeltà e soprattutto dopo la morte di Gesù.
Così nel condividere le nostre limitate ma incredibili risorse di vita materiale, culturale e spirituale, noi ci arricchiamo di beni che non conoscono tramonto, perché garantiti dalla fedeltà di Dio. La condivisione non è pericolosa rinuncia di libertà e nemmeno perdita di ricchezza ma possibilità di realizzazione per tutti. Innanzitutto per noi che facciamo vera esperienza di Dio nel donare e poi per quelli che beneficiano del nostro dono: così limitato eppure così necessario, anche perché costituisce la testimonianza concreta della gratuità umana abilitata dalla presenza del Risorto. Nella condivisione partecipata, tutti gli attori diventano nuovi: non solo chi riceve ma anche chi dona. Anche Dio, sorgente di ogni dono, in qualche modo si arricchisce dalla testimonianza della nostra generosità frutto della relazione con Lui.
Come Gesù, chi condivide la propria ricchezza con l’altro, si arricchisce della vita di Dio. E vive in una dimensione di gioia perché si sente realizzato. La nostra natura è di farci poveri con i poveri.
Non abbiamo altra ricchezza da raggiungere. Lo facciamo come possiamo, come riusciamo, anche con mille dubbi e paure, secondo la forza amorosa che riusciamo a raccogliere nella relazione con Dio e con il prossimo. Inoltre la carità fraterna non è semplicemente l’offerta di quei beni che mancano al prossimo per una vita degna. Come si è detto è molto di più: è anticipazione del Regno di Dio promesso a coloro che lo amano.
Certo che alle urgenze delle necessità del fratello bisogna rispondere con sollecitudine e nella prospettiva di renderlo il più possibile autonomo. In modo che anche lui, avendo gratuitamente ricevuto, gratuitamente doni. In ciò consiste la misericordia ovvero nostra somiglianza a Dio.
La sacra Scrittura testimonia che l’azione di Dio nella storia è sempre mediata da donne e uomini coraggiosi che hanno creduto nella misericordia come legge di vita per la loro famiglia e per il loro popolo. Essa è fonte di gioia perché è fonte di vita. Basti pensare alle grandi donne, israelite e non, di cui parla la sacra Scrittura. Con la loro azione accogliente hanno salvato Israele e il loro popolo. Dalla Scrittura potremmo dire che la misericordia è legge di progresso fra i popoli e le nazioni e non solo fra gli individui. Essa si manifesta soprattutto come accoglienza dello straniero e sollecitudine verso i poveri, identificati nelle categorie delle vedove, degli orfani degli emarginati.
Ma è soprattutto quella giustizia che non crea sopraffazione e emarginazione che deve essere praticata in Israele. Infatti tutti i popoli riconosceranno la grandezza del Dio di Israele proprio in forza della giustizia misericordiosa che Israele è capace di istituire con i suoi comportamenti sociali e con le sue leggi.
Da questa giustizia praticata, gli altri popoli riconosceranno quanto il Dio degli israeliti è più grande dei loro dei, i quali invece di donare misericordia rubano vita a chi li adora restando sordi e muti alle loro richieste.
Non è mai stato facile per Israele testimoniare la fedeltà e la predilezione di Dio nei suoi confronti davanti agli altri popoli. Perché non è mai stato facile costruire relazioni personali e istituzionali capaci di togliere l’ingiustizia. Ma Israele è sempre stato consapevole che se voleva restare nell’Alleanza con Dio, se voleva mantenere la propria identità di popolo, allora doveva testimoniare giustizia e carità. Israele deve tutto a Colui che lo ha fatto uscire dall’Egitto e lo ha posto in uno stato di libertà: nessuna schiavitù è alla fine giustificata in Israele.
Dio con Israele si è impegnato a costruire una storia di liberazione degli oppressi ed è fedele alla sua parola che ha realizzato pienamente in Gesù.
Con la forza che ci viene dallo Spirito del Risorto che vive in noi, facciamo memoria della promessa di Dio: le nostre povere possibilità vengano donate a chi più ha bisogno e parteciperemo alla ricchezza e alla gioia del regno di Dio.

don Franco Gismano, direttore Istituto Teologico Interdiocesano

In foto giovani volontari pronti ad offrire il proprio servizio in una mensa (Foto Caritas italiana)

condividi su