“Gioirono nel vedere la Stella”

Il cammino d'Avvento vissuto attraverso 4 parole ricche di significato

Per vedere le stelle dobbiamo aspettare il buio della notte. Tutti sanno che durante il giorno è impossibile vedere le stelle… eppure esse ci sono comunque ma il sole, con la sua luce accecante, non ci permette di vederle. L’Evangelista Matteo ci ricorda che alcuni magi da oriente si sono recati in Giudea perché hanno visto spuntare una stella. Quindi, nel buio della notte, hanno deciso di mettersi in viaggio. Arrivati dove era posto Gesù Bambino provarono una gioia grandissima al vedere la stella. Arrivarono dunque dove dimorava la Sacra Famiglia quando era buio.
Anche in mezzo a noi è scesa la notte.
Lo vediamo nelle guerre che stanno mietendo tante vittime anche tra le persone più indifese, non solo in Terra Santa e in Ucraina: stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi, come ci ricorda spesso Papa Francesco.
Sempre Francesco, nel suo Magistero, ci continua a ricordare che stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, non un’epoca di cambiamento. Un tempo dove si riscontra, sia a livello mondiale che locale, un incremento dell’ingiustizia e della povertà in tutte le sue forme.
Soltanto nel buio della notte i nostri fratelli e le nostre sorelle migranti che arrivano dalla rotta balcanica gioiscono nell’incontrare tante stelle che brillano: sono i volontari che a Gorizia e a Gradisca d’Isonzo si mettono a disposizione per accoglierli, offrendo loro un posto dove dormire e qualcosa da mangiare.
Nel buio della notte della solitudine, della povertà e della disoccupazione tante famiglie incontrano il volto accogliente dei volontari che si impegnano nella rete dei Centri di Ascolto della Caritas presenti tra le comunità della nostra Arcidiocesi. Sono anche loro stelle che brillano e infondono speranza, grazie al loro servizio silenzioso e quotidiano, a quanti bussano alla loro porta.
Altre donne e altri uomini hanno deciso di illuminare la speranza offrendo ai più poveri la possibilità di potersi alimentare dignitosamente nelle mense per i poveri e negli Empori della Solidarietà, altri nel buio della casa circondariali o delle case di cura, ci sono poi uomini e donne che vogliono essere guida ai tanti bambini e ragazzi che fanno difficoltà a studiare, impegnandosi nei diversi dopo scuola presenti nella nostra Diocesi. Questi sono solo alcuni esempi dove tante persone che hanno scelto, nel silenzio, di mettersi a servizio di altre sorelle e di altri fratelli: hanno deciso di diventare per loro astri che brillano nella loro notte.
Quali sono i desideri che hanno spinto i Magi a mettersi in viaggio? A questi sapienti d’oriente con un cuore colmo di desideri è spuntata una stella che li ha messi in cammino. Il termine desiderio significa letteralmente “avvertire la mancanza di stelle”.
Quali sono i desideri e le speranze di tanti giovani che dai Paesi della vicina Asia si mettono in cammino per arrivare da noi?
Quali sono i sogni, le sofferenze e i progetti di numerose famiglie che bussano ai Centri di Ascolto della Caritas, agli Empori della Solidarietà o ad altri luoghi di ascolto e accoglienza?
Quali desideri sono nascosti nel cuore dei ragazzi che fanno difficoltà a scuola, degli uomini e donne in carcere o ricoverati in qualche struttura?
Quali sono però anche i desideri che albergano nel cuore dei diversi volontari che hanno deciso di “sporcarsi le mani” e di essere stelle che brillano per altri fratelli e altre sorelle?
Sicuramente il desiderio di felicità che alberga in ogni uomo e in ogni donna.
Loro hanno capito che, per essere veramente felici, bisogna mettersi a servizio degli altri.
Questo è proprio l’annuncio di Gesù che ci ha detto “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35) e “Vi do un comandamento nuovo: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34)
Vi auguro un buon tempo di Avvento da riempire con tutti i desideri di bene che albergano nel vostro cuore, ma anche di propositi e di impegni nel donarsi e “sporcarsi le mani”, per diventare stelle che brillano imitando Gesù, quella Stella che è spuntata e ha messo in viaggio i magi, uomini sapienti e assetati di felicità.
Adalberto Chimera, vicedirettore Caritas diocesana di Gorizia


I domenica di Avvento: Attendere

“L’attesa nell’essere attesi”

L’Avvento è il tempo dell’attesa. L’attesa è fondamentale. È un’esperienza dalla grande valenza educativa, soprattutto per noi che viviamo in tempi frenetici e concitati, dove l’impazienza, l’irruenza, l’impulsività, la fretta spesso limitano e a volte cancellano il senso profondo dell’attesa.
La vita di ciascuno di noi è intrecciata di attesa e di attese.
Nella nostra vita, caratterizzata da una triste esasperazione, si presentano incessanti attese di piccole e medie dimensioni che ci logorano, irritano e infuriano: ad esempio le code, ormai onnipresenti, diventano particolarmente frustranti nelle situazioni automobilistiche, negli aeroporti e negli uffici pubblici. Sono l’opposto della grande attesa, quella che porta alla realizzazione di sogni e progetti, quella che dà compimento ad una storia. La grande attesa paziente e sana si ritira da ogni tumulto. Lo evita con timore, considerandolo un ospite inquietante, un nemico subdolo, un veleno pervasivo che sottrae vigore e vitalità.
Il termine attendere deriva dal latino ad-tendere, che significa “volgersi a”. Si tratta di una parola composta dalla particella ad “verso” e tendere “tendere”. L’etimologia latina ci suggerisce che il suo significato è quello di rivolgere l’attenzione verso qualcosa, e quindi di dedicarsi a qualcosa. L’atteggiamento del soggetto è tutt’altro che passivo; non è stare fermi e immobili, ma è volgersi verso qualcosa o qualcuno, dedicando a essa/o attenzione e concentrazione, consapevoli che ogni grande impresa non si realizza all’improvviso o per magia.
Allora, riscopriamo l’attesa del tempo di Avvento. Questo esprime un forte potenziale di speranza, perché è il tempo che fa tendere verso, che mira, si distende, ci proietta verso il futuro.
Per i cristiani è l’attesa del ritorno del Signore alla fine dei tempi, nel ricordo della prima venuta nell’Incarnazione e nella preparazione ad accoglierlo nuovamente qui e oggi.
Tuttavia, per vivere con un atteggiamento di attesa attivo è necessario sapersi attesi; è necessario aprirsi alla prospettiva e promessa di essere a nostra volta attesi e non semplicemente gettati nel mondo.
Dino Buzzati in un suo racconto da titolo Uno ti aspetta, narra di un luogo misterioso, nel quale un signore potente ti attende da tanto tempo per “renderti felice”, donarti la libertà, svelarti la tua vera identità.
Sarebbe sufficiente decidere di andare verso di lui, varcare l’ingresso della sua casa e sarebbe festa grande, perché lui è lì che “se ne sta quieto ad aspettarti”. “Ma tu, uomo, non ti alzi nemmeno, non apri la porta, non accendi la luce, non guardi. Oppure, se vai, non lo vedi”. Questo re ti attende; “… però tu non lo vedi. Deluso, spengi, sbatti la porta, torni di là, scuoti il capo infastidito da queste nostre assurde insinuazioni: fra poco avrai dimenticato tutto. E così sprechi la vita”.
L’attesa umana di “qualcosa” che sta oltre la porta è corrisposta dall’essere attesi da “Qualcuno” che, appunto, abita al di là di quella porta.
Tutta la riuscita della vita sta nel riconoscere il “signore” e amarlo; sta nel fare quel passo per abitare quella casa dove “ti attende colui che vorrebbe vederti felice”. Intraprendere la strada opposta ti conduce a sprecare l’esistenza.
Dio per primo ci attende e noi necessitiamo di questa attesa. Il bambino che nasce ci attende e con lui, la pace, la giustizia e la gioia che porta con sé ci attendono, ma per essere raggiunti hanno bisogno che la nostra attesa sia saggia, armoniosa, costruttiva, attenta.
fra Luigi Bertié
Direttore Ufficio catechistico diocesano


II domenica di Avvento: Annunciare

“Annunciare” – “Oznanjamo”

La società in cui viviamo non è più cristiana. Ciò non significa, però, che non sia possibile essere cristiani in questa società secolarizzata, consumistica, pagana e satanista e che in questa società non ci siano comunità cristiane. Come cristiani, siamo chiamati a proclamare, proprio in queste circostanze, che circa 2000 anni fa come un bambino innocente, nacque il Sovrano dell’Universo, il Re della Pace. Siamo noi testimoni di questa notizia, come lo furono i pastori ignoranti, oppure stiamo facendo anti-propaganda a Dio con la nostra predicazione e a causa della nostra predicazione le persone sono ancora più lontane dalla comunità cristiana – dalla Chiesa? Lo facciamo automaticamente se non siamo cristiani noi stessi, se non c’è pace in noi, se siamo alteri e violenti; se escono da noi l’odio, l’amarezza e la depressione, se abbiamo il cuore duro e non c’è l’amore di Dio in noi.
Non possiamo parlare di Dio nello stesso modo in cui possiamo parlare del tempo, di una visita ad un bar, di una partita di calcio, di animali domestici o di qualsiasi altra cosa. Ne erano consapevoli i Magi d’Oriente, che intrapresero un viaggio lungo e pericoloso e osservarono il cielo stellato. Anche Erode ne era consapevole e voleva liberarsi del re appena nato. Gesù Cristo è nato come bambino umano, in una mangiatoia destinata a nutrire gli animali, a Betlemme (la casa del pane). Il Verbo (Logos) si è fatto carne. Dio ha parlato attraverso il Figlio. Il Figlio testimonia del Padre. Il Verbo si è umiliato non solo nascendo come bambino umano e morendo sulla croce, ma anche diventando nostro pane. Questi fatti parlano da soli.
Molto semplice, molto distinto. Si devono solo ascoltare.
È necessario superare la paura. “Non abbiate paura!”. Possiamo parlare del Segreto con ogni persona. Guardare lo stesso cielo stellato ci dice che siamo solo un piccolo, minuscolo puntino nel grande cosmo. Non solo noi ma anche i nostri interlocutori. Se possiamo parlare di automobili, di salute, di bellezza, di emozioni, di funzionamento della mente umana, di problemi sociali, di Intelligenza Artificiale… perché non parlare anche di questioni spirituali e della nostra religione? In fin dei conti la bellezza è fugace, la salute decade, gli imperi cadono, il nostro corpo presto morirà, il nostro sistema solare crollerà… Ma il Dio che ha creato tutto è eterno!
Possiamo parlare di fede se la conosciamo, se siamo ricercatori, se ascoltiamo la Parola e parliamo con il Verbo (Logos), se conosciamo e amiamo il Verbo. Se amiamo veramente il Verbo, amiamo anche coloro ai quali siamo inviati come missionari. Anche se ci sono antipatici, ci svergognano, ci disprezzano, ci perseguitano, forse addirittura ci uccidono e non vogliono nemmeno sentir parlare di Dio, almeno all’esterno. Sono fatti a immagine di Dio, Dio li ama infinitamente; ma si aspetta che glielo diciamo.
Una persona può uccidere Dio in sé stessa ed escluderlo dalla vita pubblica, ma questo non significa che Dio non esista, che Dio non operi e non sia presente. Anche i più grandi atei e peccatori sono ancora figli di Dio. Dio vuole conquistare i loro cuori. Se lo sapessimo, ci comporteremmo nei loro confronti in modo diverso rispetto a come ci comporteremmo se non lo sapessimo. Pensiamo che, se tutti fossero già cristiani e santi, allora la predicazione non sarebbe affatto necessaria! Naturalmente, questo non significa che la nostra testimonianza convertirà necessariamente gli altri. Gesù non ha detto: “Costringete la gente ad andare alla Santa Messa…!” Non dobbiamo preoccuparci troppo se le chiese sono vuote, se… Dovremmo preoccuparci di più di che tipo di cristiani e predicatori siamo, che tipo di relazioni coltiviamo all’interno delle nostre comunità cristiane…
Chiunque vede davanti a sé un bambino addormentato cambia il suo comportamento.
Chi, da un lato, è consapevole dell’arroganza e dell’autosufficienza dei potenti di oggi e, dall’altro, è consapevole del segreto dell’infinito potere del Re, chi viene escluso e ignorato, comincia a sperimentare la vita diversamente, vive diversamente e parla diversamente. Chi è cosciente di sé in rapporto a Dio è cosciente di essere piccolo, di percepire ben poco.
E si meraviglia del fatto che Dio si è incarnato, che Dio ci ama, che Dio dà la sua vita per noi, che Gesù si è fatto Pane. L’arrivo di Dio tra noi è una Luce che illumina e riscalda. È tutto molto semplice. È così semplice che non ce ne accorgiamo nemmeno, non ce ne rendiamo conto, diamo tutto per scontato. Anche noi siamo invitati a diventare semplici; che ci facciamo il segno della croce più volte al giorno e così ci abbandoniamo all’amore della Santissima Trinità, parliamo a Dio con cuore sincero di ciò che stiamo vivendo, sorridiamo ai nostri cari, parliamo delle nostre ricerche e viaggi e osiamo dire la verità in pubblico, svolgiamo coscienziosamente i nostri doveri professionali e domestici, visitiamo gli ammalati, andiamo ai funerali e preghiamo per i morti, gioiamo nella vita… Saremo sinceri testimoni quando gli altri non si accorgeranno nemmeno che siamo cristiani e lo riterranno ovvio.
don Bogdan Vidmar, delegato episcopale per la diocesi di Koper/Capodistria per Go!2025

Družba v kateri živimo ni več krščanska. To pa ne pomeni, da v tej sekularizirani, potrošniški, poganski in satanistični družbi ni mogoče biti kristjan in da v tej družbi ni krščanskih skupnosti. Kristjani smo poklicani, da prav v teh okoliščinah oznanjamo, da se je pred okoli 2000 leti, kot nebogljen dojenček, rodil Vladar vesoljstva, Kralj miru.
Smo pričevalci te novice, kot so bili neuki pastirji, ali pa s svojim oznanjevanjem delamo anti-propagando za Boga in se ljudje, zaradi našega oznanjevanja, še bolj oddaljujejo od krščanske skupnosti – Cerkve? To počnemo avtomatsko, če sami nismo kristjani, če v nas ni miru, če smo vzvišeni in nasilni; če iz nas bruha sovraštvo, zagrenjenost in depresija, če smo trdosrčni in v nas ni Božje ljubezni.
O Bogu ne moremo govoriti na tak na¤in, kot o vremenu, o obisku v kavarni, nogometni tekmi, hišnih ljubljenčkih ali čem podobnem.
Tega so se zavedal Modri z Vzhoda, ki so se podali na dolgo in nevarno pot in opazovali zvezdnato nebo.
Tega se je zavedal tudi Herod, ki se je hotel novorojenega Kralja znebiti. Jezus Kristus se je rodil kot človeški otrok, v jaslih, ki so namenjene za prehranjevanje živali, v Betlehemu (hiši kruha). Beseda (Logos) je meso postala. Bog je spregovoril po Sinu.
Sin pričuje o Očetu.
Beseda se je ponižala ne le tako, da se je rodila kot človeški otrok in umrla na križu, marveč tudi tako, da je naš kruh. Ta dejstva govorijo sama po sebi.
Zelo preprosto, zelo razločno. Le slišati jih je treba.
Potrebno je premagati strah. “Ne boj se!” O Skrivnosti lahko govorimo z vsakim človekom. Pogled v zvezdnato nebo nam sam po sebi sporoča, da smo v velikem kozmosu le majhna, majhna pikica.
Ne le mi, tudi naši sogovorniki.
Če se lahko pogovarjamo o avtomobilih, o zdravju, o lepoti žensk, o čustvih, o delovanju človeškega razuma, o družbenih problemih, o umetni inteligenci… zakaj ne bi spregovorili tudi o duhovnih vprašanjih in o svoji veri?
Na koncu koncev: lepota je minljiva, zdravje se skrha, imperiji propadejo, naše telo bo kmalu mrtvo, naš son¤ni sistem bo propadel… Bog, ki je vse to ustvaril, pa je večen!
O veri lahko govorimo, če jo poznamo, če smo iskalci, če poslušano Besedo in z Besedo govorimo, če Besedo poznamo in ljubimo.
Če resnično ljubimo Besedo, ljubimo tudi tiste h katerim smo poslani kot misijonarji.
četudi so nam antipati¤ni, nas sramotijo, zani¤ujejo, preganjajo, morda celo morijo in o Bogu, vsaj na zunaj, nočejo niti slišati.
Ustvarjeni so po Božji podobi, Bog jih neskončno ljubi; od nas pa pri¤akuje, da jim to povemo.
vlovek lahko Boga ubije v sebi ter ga izlovvi iz javnega življenja, a to ne pomeni, da Boga ni, da Bog ne deluje in ni prisoten.
Tudi največji ateisti in grešniki so še vedno Božji otroci.
Bog želi osvojiti njihova srca.
Če to vemo, se bomo do njih obnašali drugače, kot bi se, če tega ne bi vedeli. Pomislimo, če bi vsi že bili kristjani in svetniki, potem oznanjevanje sploh ne bi bilo več potrebno! Seveda to ne pomeni, da se bodo ob našem pričevanju drugi nujno spreobrnili. Jezus ni rekel: “Prisilite ljudi, da bodo hodili k sveti maši…!” Ne sme nas preve¤ vznemirjati, če so cerkve prazne, če… Bolj bi nas moralo skrbeti, kakšni kristjani in oznanjevalci smo, kakšne odnose gojimo znotraj naših krščanskih občestev…
Kdor vidi pred seboj spečega dojenčka, spremeni svoje obnašanje.
Kdor se po eni strani zaveda arogantnosti in samozadostnosti današnjih mogočnežev in se po drugi strani zaveda skrivnost neskončne moči Kralja, ki je izločen in ignoriran, začne življenje doživljati drugače, živi druga¤e in drugače tudi govori. Kdor se zaveda samega sebe v odnosu do Boga, se zaveda, da je majhen, da dojema zelo malo.
In se čudi temu, da se je Bog učlovečil, da nas Bog ljubi, da Bog daje za nas svoje življenje, da je Jezus postal Kruh. Božji prihod med nas je Luč, ki razsvetljuje in greje.
Zelo preprosto je vse to. Tako preprosto, da tega niti ne opazimo, se tega ne zavedamo, da se nam vse to zdi samoumevno.
Povabljeni smo, da tudi mi postanemo preprosti; da se večkrat na dan pokrižamo in s tem izročimo v ljubezen Svete Trojice, da se z iskrenim srcem pogovarjamo z Bogom o tem, kar doživljamo, da se nasmehnemo bližnjim, da se pogovarjamo o naših iskanjih in poteh in si upamo v javnosti povedati resnico, da vestno opravljamo svoje poklicne in stanovske dolžnosti, da obiščemo bolnika, da gremo na pogreb in molimo za rajne, da se veselimo življenja… Resnični pri¤evalci bomo, ko drugi ne bodo niti opazili, da smo kristjani in se jim bo to zdelo samoumevno
don Bogdan Vidmar


III domenica di Avvento: Testimoniare

Volontari: non chiamateci supereroi!

In questa terza domenica d’Avvento, la parola che ci guida è “Testimoniare”.
Anche nelle nostre comunità, parrocchie, gruppi, sono tante le persone che, spesso in maniera silenziosa, con gesti concreti ed esempi importanti di solidarietà, lasciano una profonda impronta con la loro testimonianza.
A volte, prima di intraprendere un cammino in un servizio di volontariato, sono tante le domande che le persone interessate si fanno: “Sarò in grado di svolgere quello che mi verrà chiesto?”, “Non ho compiuto studi specifici, sarà un problema?”, “Dovrò dire o dimostrare qualcosa di particolare?”.
Domande che sono certamente lecite, ma tutti i dubbi possono essere dipanati con una semplice risposta: basta avere amore da donare.
Tutti noi possiamo essere in grado di “prenderci cura” e “avere a cuore” chi ci sta vicino, in mille modi: possiamo andare a trovare un anziano, riempire gli scaffali di un Emporio della Solidarietà, smistare vestitini per bambini all’Emporio dell’Infanzia, aiutare i ragazzi nello studio pomeridiano al doposcuola… e chi più né ha più ne metta!
In fondo, è il nostro essere cristiani e il vivere la nostra fede che ci guida e ci guiderà nel nostro servizio verso “l’altro”, nel “prenderci cura” di lui. E semplicemente grazie a questo, anche noi potremo essere a nostra volta “testimoni” di qualcosa di bellissimo e speciale.
Così come Giuseppe, un giovane che già da diversi anni si occupa di volontariato nel settore socio-sanitario e che ha condiviso con noi la sua esperienza.

Da quanto tempo ti occupi di volontariato e da dove nasce l’ispirazione che ti ha portato a scegliere proprio l’assistenza come ramo volontaristico e non qualcos’altro?

La mia prima esperienza di volontariato risale a quando ero adolescente e frequentavo il centro salesiano “San Luigi” di Gorizia. A quell’epoca, infatti, ho avuto la possibilità di conoscere alcuni salesiani, che ricordo con affetto, e che mi hanno convinto ad intraprendere il percorso di animatore per sostenere i vari progetti riguardanti i ragazzi delle scuole elementari e medie, come ad esempio, quello inerente alla realizzazione del centro estivo “Estate Insieme”.
Grazie a quell’esperienza ho potuto apprezzare alcuni aspetti del volontariato, come quello del donarsi al prossimo, del lavorare insieme ad un progetto comune, e del poter coltivare importanti amicizie.
Nel 2010 sono diventato infermiere e da quel momento ho sempre pensato di fare qualcosa che mi permettesse di unire la mia passione lavorativa alla voglia di prestare aiuto e sentirsi utile.
In particolare mi incuriosivano le attività di volontariato rivolte ai paesi del “terzo mondo”, che storicamente soffrono di gravi carenze a livello sanitario.
Se da un lato queste esperienze mi affascinavano, dall’altro suscitavano in me la paura del mettersi in gioco con persone sconosciute in contesti lontani da casa.
Nel 2018, a seguito di lunghe riflessioni, ho deciso di partire per il Madagascar come volontario infermiere, presso un ospedale gestito da un’associazione italiana nei pressi di Tulear.
L’esperienza di volontariato in Madagascar è stata una delle più importanti e significative della mia vita. Una volta ritornato a casa mi ero ripromesso di dedicarmi di tanto in tanto ad esperienze simili, compatibilmente con i miei impegni lavorativi.
A fine ottobre, grazie ad un’amica e collega, ho avuto l’opportunità di poter svolgere un paio di settimane di volontariato come infermiere presso l’hotspot di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa Italiana, alla quale sono molto grato. Anche in questo caso ho trovato l’esperienza davvero bella e arricchente.

Fare volontariato è un po’ donare una parte di sé stessi agli altri. Come ti senti nei momenti in cui stai prestando te stesso all’altro?

Nel momento in cui faccio del volontariato sono mosso dall’idea di rendere migliore la vita di qualcun altro e questo pensiero mi fa stare bene.
Non voglio apparire come un supereroe. Non c’è nulla di eroico nel fornire una coperta a chi ha freddo, fornire un pasto caldo a chi è affamato oppure somministrare un analgesico a chi lamenta del dolore. Sono azioni che possono essere compiute da tutti, non servono grandi capacità.
La bellezza del volontariato non sta nel compiere delle gesta eroiche ma nel donare il lato migliore di sé stessi al prossimo. Essere volontari significa non solo donare ma anche ricevere. Capita spesso infatti, durante l’attività di volontariato, di ricevere dei ringraziamenti sentiti, delle strette di mano, dei sorrisi, degli abbracci.
Questi gesti sono per me impagabili perché generano un senso di gioia immediato.

Quello che compi come volontario è anche una grande testimonianza: di cura di dedizione, di attenzione al prossimo. Testimoniare è proprio una delle parole che guida l’Avvento 2023 che promuoviamo come Caritas diocesana insieme all’Ufficio catechistico. Cosa significa per te questa parola? Hai mai pensato che appunto, sei testimone di qualcosa di prezioso che potresti essere da stimolo ed esempio per altri?

Credo che testimoniare abbia a che fare col rendere visibile una realtà, quella del volontariato, che spesso opera “lontano dai riflettori” e agisce con lo scopo di rendere più bello questo mondo. Una realtà fatta di persone comuni che dedicano parte del loro tempo e delle loro capacità per aiutare il prossimo.
Penso che sia bello sapere che anche al giorno d’oggi si possa contare sull’aiuto di alcune persone disponibili a tenderti la mano nel momento del bisogno, senza volere nulla in cambio.
Per me, testimoniare significa raccontare le mie esperienze di volontariato sperando che questo mondo così bello e affascinante possa essere condiviso e vissuto anche da qualcun altro.

Se ti chiedessimo di descrivere il volontariato in tre parole, quali sceglieresti?

Il volontariato per me può essere descritto con le parole: dono, collaborazione e opportunità.
Il dono è sicuramente l’essenza del volontariato.
Ogni volontario, infatti, offre il proprio tempo, le proprie capacità, il proprio impegno a chi si trova in una situazione di difficoltà senza pretendere nulla in cambio.
Il volontariato si basa sulla collaborazione reciproca.
Lo spirito di chi si mette al servizio del prossimo è quello del “costruire insieme”, mettendo da parte le divergenze, i pregiudizi e la competizione.
Qualsiasi attività di volontariato si basa su questo principio.
Infine, penso che il volontariato sia un’opportunità per scoprire nuove amicizie, conoscere importanti storie di vita, cimentarsi in nuovi progetti, attività e passioni.
Tutte queste opportunità portano a sentirsi meglio con sé stessi e ad apprezzare di più il dono della vita.


IV domenica di Avvento: Gioire

La gioia è ancora più bella se condivisa

Si conclude il tempo di Avvento. L’ultima parola che ci guida in questa IV domenica è “Gioia”. Cosa ci dà gioia oggi? Certo, i tempi burrascosi e bellicosi appannano questa felicità, ma forse è proprio dalle piccole cose belle che accadono ogni giorno che possiamo trovare la forza per essere testimoni, vivi e attivi, di quanto bene sia ancora possibile realizzare, di quante differenze si possano superare e di quante mani si possono stringere.
Gioia è, nel Natale, la nascita di Gesù, ma gioia può essere anche l’essere partecipi e il condividere la felicità, la “rinascita” di qualcuno che ha attraversato la difficoltà. Agnese De Santis, assistente sociale presso la Fondazione Contavalle di Gorizia, condivide con noi un momento di doppia gioia: da un lato il riuscito percorso individuale di un’assistita, dall’altro la felicità per i suoi traguardi condivisa con tutti gli operatori.

Agnese, con il Natale si vive la gioia della Nascita, quella di Gesù venuto per salvarci. Nel “nostro piccolo” la gioia può essere vissuta anche con la rinascita dopo un periodo buio, magari proprio sorretti e orientati da persone che ci stanno accanto e si “prendono cura” anche dei nostri problemi. Con il Fondo Famiglie in Salita, in questi anni avete vissuto anche voi delle gioie condivise. C’è una storia in particolare che ricordi con affetto?

Ricordo molto bene la storia di una signora che ho accompagnato per due anni nel suo percorso di risalita, sia come operatrice del Centro di Ascolto diocesano che come assistente sociale presso la Fondazione Contavalle.
La signora Marta (nome di fantasia) è stata accolta nel 2021 presso la Fondazione Contavalle insieme alla figlia adolescente Sara (nome di fantasia) con un progetto sostenuto dai servizi sociali, con il fine di accompagnare e sostenere la signora nelle capacità genitoriali e in un percorso di autonomia economica e lavorativa.
In una prima fase, il nucleo è stato accolto in comunità e gli operatori hanno potuto ascoltare e condividere con Marta le preoccupazioni e le paure quotidiane legate al periodo di vita così complesso per la figlia, il passaggio dalla scuola media alle superiori, la precarietà lavorativa e la speranza di una stabilizzazione.
Non è certo stato un percorso senza ostacoli e privo di delusioni e fatiche ma sicuramente per Marta e Sara l’esperienza in comunità è stata preziosa: la definirei quasi una “palestra” per un’autonomia totale mai vissuta fino a quel momento. La creazione di una relazione di fiducia con le due donne è stata la chiave per i passi avanti che in questi due anni abbiamo potuto toccare con mano: gli operatori sono diventati un vero punto di riferimento per Marta e lo sono ancora oggi, all’uscita dalla struttura.
Ma come siamo arrivati a questo? Marta ha svolto un paio di esperienze formative/lavorative in cui ha potuto testare con mano le proprie capacità e i propri limiti, dimostrando sempre voglia di mettersi in gioco e di imparare ma, per diversi motivi, non è mai riuscita ad ottenere un contratto stabile che le permettesse una vita autonoma. Per questo motivo nell’aprile 2023 è stata inserita nel progetto Famiglie in Salita della nostra Caritas Diocesana ed è stata assunta presso un’attività ristorativa della città.
Marta ha potuto apprendere nuove competenze e conoscere un nuovo ambiente di lavoro, con i suoi ritmi e le sue regole, imparando anche a tessere relazioni sia con i colleghi che con la clientela, imparando anche a limare talvolta alcuni lati del suo carattere.
L’opportunità lavorativa offertale le ha permesso di accantonare una buona parte di stipendio per potersi permettere un appartamento in affitto autonomo.
Anche per Sara l’esperienza della madre è stata importante. In primo luogo, trovandosi più spesso da sola a casa ha dovuto iniziare a rendersi più autonoma nelle piccole faccende domestiche e nella preparazione dei pasti; in secondo luogo, la maggiore sicurezza economica della madre le ha permesso di vivere meglio le interazioni sociali con i coetanei, senza dover rifiutare un pranzo o una merenda con le amiche per motivi economici.
A ottobre 2023 il nucleo ha “spiccato il volo” ed è uscito dalla comunità, per andare ad abitare in un appartamento autonomo.
La signora Marta ha concluso l’esperienza di Famiglie in salita, comprendendo meglio quelle che sono le sue capacità e propensioni ed ora ha un nuovo impiego presso una casa di riposo, con l’intenzione di continuare a formarsi e magari diventare OSS.
I servizi, la Fondazione e Caritas stessa continuano comunque il monitoraggio e il sostegno…perché la vera sfida è appena iniziata.

Cosa ha significato per voi operatori essere partecipi di questa rinascita e appunto poter gioire, accanto e insieme a questa persona?

Per noi operatori è raro vedere storie “a lieto fine”. Purtroppo non sono molte le persone che riescono a risollevarsi e a diventare autonome oggigiorno, un po’ a causa dei limiti personali e un po’ a causa dei limiti “della società” (stipendi bassi, costo della vita alto…). Assistere quindi alla gioia e alle preoccupazioni di chi, invece, ce la sta facendo è un dono. Siamo consapevoli che solo insieme siamo riusciti a raggiungere degli obiettivi importanti e il fatto che la persona inizi a camminare con le sue gambe ripaga e rende più “dolce” il ricordo dei momenti più duri vissuti insieme.

A pochi giorni dal Natale, qual è l’augurio che rivolgete alle persone seguite dal Fondo Famiglie in Salita e dalla Fondazione Contavalle?

L’augurio alle persone che accompagniamo è sicuramente quello di non demordere, anche quando la strada sempre piena di difficoltà.
Se stanno vivendo l’esperienza comunitaria o quella lavorativa con Famiglie in Salita, è perché non sono soli e c’è qualcuno pronto a sostenerli ed accompagnarli.
Certo, non sempre è facile fidarsi ma penso che solo quando si uniscono le risorse e le idee e si lavora insieme, in progetti condivisi, si possa arrivare a dei risultati come quello della signora Marta.

Cosa auguri invece per voi operatori?

Agli operatori auguro anche di non perdere la speranza, anche quando le cose vanno male o le persone non sono collaborative.
Impegnamoci sempre a leggere quel qualcosa in più nelle persone che ci permette di entrare davvero in relazione con loro, usando la testa ma anche il cuore.
Il lavoro (e il servizio per i volontari) con le persone è senza dubbio faticoso ma è uno dei lavori più belli in assoluto.
Ci mette davanti alla realtà e all’umanità più di qualsiasi altra cosa. è un po’ come vivere mille vite attraverso le storie delle persone che incontriamo e ascoltiamo… possiamo imparare davvero tanto.


In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,4-5);
L’augurio per questo Natale è, per tutti noi, di saper guardare in alto, a Gesù che nasce e al suo Vangelo, luce che, se accolta e seguita come i Magi con la stella, cambia la nostra vita.
Buon Natale del Signore!

Diacono Renato Nucera, direttore della Caritas diocesana, e tutta l’équipe

“Vnjem je bilo življenje in življenje je bilo luč ljudi. In luč sveti v temi, a tema je ni sprejela” (Jn 1,4-5)
Voščim vam, da bi vsi znali pogledati navzgor, proti Jezusu, ki se rojeva in v njegov Evangelij, ki je luč in bo naše življenje spremenil, ce ga bomo znali sprejeti in mu slediti, tako kot so sveti trije kralji sledili zvezdi.
Blagoslovljen Božič!

Diakon Renato Nucera, direktor škofijske Karitas, in vsa ekipa

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