Ucraina: un anno di guerra

Attraverso un'intervista realizzata dal settimanale diocesano Voce Isontina, presentiamo la storia di Alina, arrivata a Gorizia un anno fa e che ha trovato accoglienza nel progetto di Caritas diocesana

L’inizio della guerra in Ucraina ha segnato quello che, ad oggi, si può considerare un vero e proprio esodo. Stando alle cifre di UNHCR, oltre 8.400.000 ucraini sono scappati nei primi quattro mesi di conflitto e moltissimi ancora oggi non hanno fatto rientro alle proprie case.

Tra questi anche Alina, suo marito e il loro bambino, ospiti a Gorizia e seguiti nell’accoglienza dalla Cooperativa Murice all’interno del progetto promosso dalla Caritas diocesana.
Abbiamo incontrato Alina e ci siamo fatti raccontare della loro fuga, della situazione nel Paese riportata da amici e parenti che si trovano ancora là, a pochi chilometri dal confine, ma anche della gentile e premurosa accoglienza che lei e la sua famiglia hanno trovato una volta arrivati in Italia.
Non è mancato quindi un messaggio di speranza che la giovane ha voluto lasciare a chi, come lei, si trova a causa di questi tristi avvenimenti lontano dalla propria casa e dai propri affetti.

Alina, raccontaci qualcosa di te e della tua famiglia. Da quale area dell’Ucraina provenite?
Ho 32 anni e di professione sono medico anestesista. Prima della guerra, abitavo con mio marito e mio figlio nel Sumska Oblast, la regione di Sumy, a soli 30 chilometri dal confine con la Russia. Lavoravo in ospedale nel reparto di Rianimazione e amavo, amo, moltissimo il mio lavoro.
Sono qui a Gorizia con mio marito e mio figlio di 8 anni. Personalmente sto studiando italiano e sto preparando alcuni documenti per poter poi lavorare nella Sanità, per essere accreditata al lavoro. Mio marito invece ha trovato impiego nel settore dell’Agricoltura e nostro figlio sta frequentando la scuola elementare.

Lo scoppio del conflitto ha certamente colto tutti di sorpresa ma già le settimane precedenti facevano notare una crescente tensione. Come avete vissuto quel periodo, cosa sapevate di quello che stava accadendo?
Nelle settimane precedenti al 24 febbraio 2022, si comprendeva che la situazione era piuttosto pesante e moltissimi amici e parenti che, rispetto a noi, abitavano ancora più vicino al confine, vedevano da giorni qualcosa come 200.000 macchine militari schierate lungo la linea confinaria. Anche se ufficialmente veniva detto che stavano facendo solo delle esercitazioni, l’impressione che questo non fosse vero era palpabile. Si capiva che il contesto era grave.
Per quanto riguarda la nostra famiglia, eravamo già pronti: nei giorni precedenti lo scoppio del conflitto avevo preparato delle borse con all’interno tutti i nostri documenti e una buona scorta di medicinali – temevo che con il possibile inizio di una guerra le farmacie potessero venire chiuse e potesse esserci reale difficoltà nel reperire medicinali -.
Credo che tutto il popolo ucraino capisse, perché nell’aria c’era proprio questa sensazione di pericolosità costante; è stato molto pesante. Non sapevamo quale sarebbe stata la data d’inizio ma sapevamo che prima o poi sarebbe successo, che sarebbe stato inevitabile.

Quando avete preso la decisione di partire?
A ridosso dello scoppio della guerra, proprio la mattina precedente, ho chiamato i nostri parenti, che abitano vicino al confine, e ci hanno confermato che la colonna di mezzi militari si stava muovendo e c’erano tantissimi militari.
Fino all’ultimo non sapevamo cosa fare: non volevamo andare via, abbandonare la nostra casa, le nostre famiglie, le nostre vite; eravamo molto confusi.
Sono così andata al lavoro, ho preso tutte le ferie che avevo a disposizione, sono ritornata a casa ma ancora stavamo ragionando sul da farsi. Ho quindi chiamato mio padre, che ci ha detto di partire subito, di prendere tutte le nostre cose e andare; è stato lì che abbiamo capito che, per il nostro bene e quello di nostro figlio, era meglio andarsene, che stava per succedere qualcosa, anche se non sapevamo ancora di preciso cosa.
Nostro figlio ha 8 anni ed è autistico. Questo è il motivo principale per il quale abbiamo deciso di lasciare la nostra città: sentendo i rumori, gli scoppi, non sapevamo come avrebbe reagito, avevamo paura avesse delle crisi, che smettesse di parlare… eravamo molto preoccupati per lui.
Comprendevamo che non potevamo permetterci di rimanere lì. Se non avesse avuto questo tipo di diagnosi, forse avremmo potuto tentare di rimanere ancora per qualche giorno, per capire l’evolversi del conflitto e come proseguire, ma non ce la siamo sentita e siamo andati via subito.

Vi siete diretti subito verso l’Italia o non era stata questa la vostra scelta iniziale? Qual è stato il vostro viaggio?
Inizialmente eravamo confusi, non sapevamo dove andare. Il 24 febbraio quindi la Russia ha iniziato a Una volontaria Caritas porge del cibo ad un'anziana solabombardare sostanzialmente tutta l’Ucraina, tutte le città maggiori. Abbiamo così iniziato ad attraversare l’Ucraina centrale per recarci verso l’Ovest. Per raggiungere quei territori dovevamo però attraversare il fiume Dnepr e c’era grande pericolo che potessero saltare i ponti, rischiando sostanzialmente di rimanere isolati.
Ce l’abbiamo però fatta, abbiamo attraversato il fiume e, per una settimana, siamo rimasti nell’Ucraina centrale ma a soli 30 – 40 chilometri da noi c’erano già battaglie. Abbiamo così deciso di spostarci ad Ovest; ci abbiamo messo tre giorni, nei quali io ho passato il tempo attaccata al telefono per cercare un appartamento libero ma non si riusciva a trovare nulla: moltissime persone avevano iniziato a spostarsi da Kyiv, Kharkiv, che sono città enormi; per paura di uno scoppio imminente della guerra, avevano incominciato a trasferirsi già nelle settimane precedenti.
Alla fine siamo rimasti per circa tre giorni in un paesino ad Ovest, perché nostro figlio nel frattempo si era ammalato e aveva la febbre molto alta. Siamo stati accolti da una famiglia del luogo, in maniera totalmente gratuita: avrei voluto contribuire alle spese ma ci hanno fermati: hanno desiderato aiutarci, almeno finché il bambino non si fosse ripreso; gli siamo estremamente grati.
Quando si è ripreso abbiamo quindi continuato il nostro viaggio e abbiamo trovato accoglienza per la notte nelle chiese, perché da nessuna parte c’era posto, era tutto pieno.
Quindi abbiamo saputo di alcuni autobus diretti in Italia – Paese dove una zia di mio marito abita già da qualche tempo -; ci siamo così messi in contatto con lei e abbiamo deciso tutti insieme di recarci in Italia. Prima, con l’autobus, siamo andati a Napoli (era lì che era diretto), e abbiamo fatto tutti i documenti necessari. Ci siamo fermati lì circa 5 giorni, poi ci siamo spostati a Nord, verso la zona confinaria, arrivando a Gorizia. Ci troviamo qui da fine marzo 2022.

Le vostre famiglie sono ancora in Ucraina o anche loro hanno lasciato il Paese?
Sia i miei genitori, che quelli di mio marito, sono rimasti in Ucraina, non se la sono sentita di lasciare tutto e affrontare un simile viaggio.
I miei suoceri abitano vicino a Kyiv, i miei invece sono rimasti nel loro paese a pochi chilometri dal confine russo. In questo momento però entrambi i luoghi sono sotto controllo ucraino.

Quando siete arrivati qui in Italia, c’è qualcosa che vi ha particolarmente sorpreso e che magari non vi aspettavate proprio di trovare?
Per quanto riguarda mio figlio, ci siamo trovati davvero molto molto bene con il suo inserimento a scuola, sono davvero meravigliata e riconoscente! Il livello di gentilezza, di comprensione, di calore nell’accoglierlo ed accoglierci… Mio figlio si sta trovando molto bene, è stato bellissimo come lo hanno accolto sin da subito a scuola, come si sono preoccupati per lui, come se ne sono presi cura, gli vogliono proprio bene.
Per quanto riguarda me e mio marito, ovviamente ci mancano moltissimo i nostri genitori – i miei addirittura li vedevo ogni giorno perché stavamo nella stessa città, e ora questa situazione rende tutto molto difficile -. Il nostro desiderio è tornare, certo, ma in questo momento non è proprio pianificabile, reputiamo la situazione ancora troppo pericolosa.
Personalmente poi mi manca molto anche il mio lavoro: mi piaceva moltissimo lavorare era in qualche modo “la mia vita”, parte integrante di essa; avevo studiato per quel lavoro, mi ero preparata, amavo stare con i pazienti, i colleghi… Anche per questo ho il desiderio di poter continuare a praticare nel periodo in cui continueremo ad essere qui in Italia.

Alcuni vostri concittadini, una volta che la situazione nelle loro città si è tranquillizzata, hanno fatto ritorno, altri hanno magari trascorso un breve periodo per le festività assieme alle loro famiglie. Nell’arco di quest’anno voi avete mai fatto rientro per qualche giorno in Ucraina?
No, non siamo più tornati perché non vogliamo destabilizzare il bambino. A lui manca moltissimo la nostra casa, il “suo mondo”, inoltre anche il viaggio è molto lungo e complicato. Quando siamo arrivati qui chiedeva ogni giorno “quando torniamo?”; ora lo chiede ancora, ma molto meno spesso. Portandolo in Ucraina solo per un breve periodo, per poi riportarlo qui, per lui sarebbe estremamente complicato da comprendere e da vivere.
Io ho molta paura, perché la situazione è così instabile che non si sa come possa andare ed evolversi: oggi può essere tranquilla, però domani potrebbe cambiare tutto.
Mia mamma almeno due volte a settimana vede razzi passare, partiti dall’altra parte del confine e non si sa per dove siano diretti, non si sa se verranno fermati dalla contraerea o se andranno a segno. Possono anche sbagliare traiettoria e cadere in qualsiasi città, com’è già successo anche verso i confini con gli altri Paesi. La situazione è molto instabile.

Parlando con coloro che si trovano nel Paese, che idea vi siete fatti sul proseguimento di questo conflitto? Credete ci possano essere i presupposti per dei tavoli di trattativa?
La situazione sta peggiorando perché, a detta di tutti, sembra che la Russia stia preparando un nuovo attacco: da settembre ha già mobilitato 200.000 persone e pare stiano estraendo dai depositi anche vecchi macchinari militari e carri armati e non sappiamo dove abbiano intenzione di collocarli, se dalla parte del Donbass o dalla parte della Bielorussia.
Ma se noi riusciamo di nuovo a respingere l’attacco, si ritiene che per l’estate la situazione possa cambiare, possiamo sperare in una vittoria. Se le loro risorse finiscono, riusciamo a vedere una fine.
Non sappiamo quando potrebbe avvenire questo attacco ma è probabile attendano che la stagione sia più favorevole.
Io penso che il governo russo non senta pietà e comprensione per il proprio popolo, perché se avessero avuto a cuore la propria gente non avrebbero chiesto e perpetrato tutto questo.
Riguardo invece un dialogo tra Russa e Ucraina, penso sia impossibile che si mettano a un tavolo e trovino un accordo alla luce di ciò e allo stato attuale delle cose.
Dall’inizio guerra sono morti almeno 450 bambini, è difficile vedere la Russia come un Paese che chiede pace.

Essere lontani dalla propria patria sofferente non è semplice…
L’importante è che rimaniamo uniti e che continuiamo a credere nel nostro Paese, sostenendolo, anche con interviste, come sto facendo io oggi, portando una testimonianza; possiamo poi, se ne abbiamo necessità, mandare qualcosa in Ucraina per coloro che hanno bisogno, come cibo, o prodotti per l’igiene.
Dobbiamo essere uniti e credere nella vittoria, che ci sarà sicuramente; adesso viviamo un periodo difficile ma non dobbiamo abbatterci.

(a cura di Selina Trevisan)

 

In questo lungo anno di conflitto, la rete Caritas non ha mai interrotto il suo sostegno alla popolazione colpita, tanto con azioni compiute direttamente sul territorio Ucraino – realizzate attraverso Caritas Spes e Caritas Ucraine (le due realtà caritative presenti nel Paese e facenti capo rispettivamente alla Chiesa di rito latino e a quella greco-ortodossa) e che hanno visto l’invio di generi di prima necessità, sanitari e igienici, sia per gli sfollati che per le cittadinanze colpite – quanto sul territorio locale, con il sostegno e soprattutto l’accoglienza di numerosissime persone in fuga, rappresentate per la maggior parte da donne e bambini, offrendo loro un luogo da poter, anche se temporaneamente, chiamare “casa”, donando aiuto e vicinanza e sostenendole nel percorso di inserimento all’interno delle comunità locali.

Condividiamo qui un video, realizzato da Caritas Italiana proprio per questa giornta che segna il drammatico anniversario di un anno dallo scoppio del conflitto

 

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